Viaggio a Monguelfo nel più grande vivaio forestale della Provincia. Qui si seminano gli abeti che ripopoleranno i pendii distrutti dalla tempesta Vaia.
Una mattina di fine giugno. Al Vivaio forestale provinciale poco ad est dell’abitato di Monguelfo la temperatura non è quella che ti aspetteresti a 1.100 metri di altitudine. Il sole picchia. Ad un centinaio di metri dall’ingresso un gruppetto di operaie forestali lavora in ginocchio. Solo avvicinandosi si capisce che mansione stanno svolgendo: eliminano le erbacce infestanti lungo un filare di micro-alberelli di larice con tre settimane di vita. E’ in quest’area di circa tre ettari che con pazienza, dedizione e fatica si fanno crescere le piante che nei prossimi anni andranno a ripopolare i pendii in cui la tempesta Vaia ha spazzato via migliaia di alberi. Meglio, qui da sempre si fanno crescere gli alberi per i vari tipi di rimboschimento, ma dopo il drammatico “sfalcio” di 6.000 ettari di bosco, superato lo shock, gli sforzi sono concentrati soprattutto nel curare quella profonda ferita.
“Nell’area – spiega Stefan Burger, vicedirettore dell’ispettorato di Monguelfo – vengono fatte crescere circa 300.000 piante e sono circa 100.000, ogni anno, quelle pronte per ‘uscire'” . Le operaie fanno un gran lavoro, passo dopo passo, dalla raccolta delle sementi alla cura degli alberelli di 4-5 anni. Solo a quell’età le piante sono sufficientemente robuste per essere trapiantate nei boschi, superare la concorrenza dell’altra vegetazione e sopravvivere alle condizioni più difficili.
A coordinare il lavoro delle “ragazze” è Elisabeth Bachmann, sguardo fiero, e una conoscenza della propria materia che impressiona. Quando cammina tra i filari si capisce che quegli sono i “suoi” alberi. “Sono qui dal 1989 – spiega l’operaia agricola-forestale – e di alberi ne ho visti crescere a milioni”. “Dopo la tempesta di fine ottobre 2018 – aggiunge Burger – i nostri operai hanno raccolto gli strobili (le pigne, ndr) degli alberi abbattuti. In autunno infatti i semi sono maturi per la raccolta. Con una sorta di mulino i semi vengono estratti, poi viene fatta la selezione delle sementi: si scelgono i migliori e si scartano le seconde scelte”.
Arrivando dalla strada, nel primo filare sbucano appena dal terreno i mini abeti piantati tre settimane prima. C’è da rimanere spiazzati: sono alti circa 1,5 cm. Accanto, le piante di uno o due anni, sono poco più grandi, al massimo 6-7 cm. “Sí – dice Elisabeth – all’inizio, nelle prime settimane, la crescita è veloce e poi rallenta molto”. Tutto deve essere tenuto in ordine per permettere alle piante di crescere robuste. Le operaie che poco lontano si occupano dei larici sono al lavoro da circa 3 ore ed hanno ripulito minuziosamente una trentina di metri appena. Rigorosamente in ginocchio e sotto un sole penetrante.
Alla fine del secondo anno di vita gli abeti sono pronti per essere trapiantati a qualche metro di distanza. Dai “ciuffi” normalmente si possono ricavare più piante, ma quest’anno ci sono state delle gelate tardive. Il risultato è che molte punte si sono “bruciate” e quindi sdoppiate (si veda la foto di apertura dell’articolo, ndr). “Le piante danneggiate devono essere eliminate perché in natura crescerebbero male”, spiega Burger. Solo dopo 5 anni gli abeti raggiungono i 45/50 cm di altezza. Il filare con gli alberi pronti “per la natura” è impressionante. Anche l’occhio di una persona digiuna di nozioni “forestali” specifiche è in grado di capire quanto belle, forti e “potenti” siano quelle piccole piante. Ma se questi alberelli hanno cinque anni, quanti ne ha il classico albero di natale di 1,80? “Circa venti”, risponde Burger. Come possa quindi costare solo 35-40 euro l’ispettore forestale non è in grado di spiegarlo. Misteri dell’economia di mercato.
Gli alberelli di 5 anni, però, al momento non partono ancora per “il fronte” a combattere con le insidie della natura, in particolare cervi e caprioli. “Per ora non vengono piantate – spiega Burger – dove ci sono stati gli schianti di Vaia. Lì non ci sono ancora le condizioni, oltre alla selvaggina c’è il forte rischio degli insetti dannosi. Su quei pendii gli alberi verranno messi a dimora tra un paio di anni, in circa 2.500 esemplari per ettaro. Perché arrivino alle misure degli alberi abbattuti ci vogliono circa 150 – 200 anni”. Duecento anni.
di Fabio Gobbato
Foto di Ivo Corrà